Quando viene a mancare un caro, la legge (numero 53 del 2000, articolo 4 e il relativo regolamento di attuazione D.M. 21.07.2000 numero 278) prevede per il lavoratore che abbia subito il lutto, tre giorni lavorativi all’anno di permessi (quindi si escludono i festivi e la domenica).
Il diritto ai giorni di permesso per lutto familiare valgono nel caso di morte del coniuge, dei figli e dei parenti entro il secondo grado (fratelli e sorelle).
Lutto familiare, il contratto di lavoro
Questi permessi, infatti, non valgono se si tratta della morte di uno zio, dei suoceri o di altri affini, tranne nel caso di dipendenti del pubblico impiego o di alcuni settori o CCNL (come nel comparto Ministeri, Regioni o Autonomie Locali, Sanità e Scuola).
Infatti, i permessi per lutto familiare valgono sia per i lavoratori privati sia per quelli pubblici. Inoltre, valgono tanto per i lavoratori a contratto indeterminato quanto per quelli a tempo determinato.
Giorni di assenza giustificata
I permessi per lutto familiare valgono come giorni di assenza giustificata e, pertanto, vengono retribuiti normalmente in busta paga. Occorre comunicare al proprio datore di lavoro di voler godere di tale permesso e i giorni per i quali verrà utilizzato; infatti, i permessi per lutto non possono essere riconosciuti ad ore ma solo a giornate.
In questo modo, i giorni accordati devono essere “utilizzati” entro sette giorni dal decesso o dall’accertamento dell’insorgenza della grave infermità del parente o coniuge o della necessità di provvedere a specifici trattamenti terapeutici.
Il lavoratore, poi, una volta tornato a lavoro dovrà documentare il decesso con tutta la certificazione
adeguata o con la Dichiarazione Sostitutiva. Bisogna ricordare che si tratta di tre giorni lavorativi
complessivi all’anno, quindi, nel caso sfortunato si abbiano due decessi in un anno, spettano al
lavoratore tre giorni massimo di permesso retribuito, ad eccezione dei lavoratori del settore pubblico.
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